Monday 9 May 2016

Che cosa mi ha lasciato The Good Wife

Parlare di The Good Wife è come parlare della propria vita a una persona che non hai mai visto. È difficile perché è qualcosa di talmente ricco e sostanzioso che sai già che ti dimenticherai qualcosa, e anche perché essere oggettivi riguardo alla propria vita è impossibile: la nostra visione del mondo e della realtà è ciò che guida il nostro comportamento, le nostre credenze, i nostri atteggiamenti e le nostre opinioni, e non sempre questa visione è consapevole ed esplicita, la maggior parte delle volte è inconscia ed è qualcosa che non sappiamo spiegare a parole.

Con The Good Wife è così perché The Good Wife è innanzitutto i suoi personaggi, che a me piace definire "straordinariamente ordinari". Nonostante lo status di quasi tutti i personaggi sia piuttosto alto (parliamo di avvocati di successo, giudici, politici e i migliori investigatori possibili), quello che vive il personaggio è sempre una storia credibile, sono sempre situazioni ordinarie e assolutamente reali, ed è in questo modo che lo spettatore è portato ad empatizzare e, in casi a mio avviso non rari, ad identificarsi. Credo che ognuno di noi si sia identificato con i personaggi almeno una volta nel corso del telefilm. Per dirne una, io, che sono sempre stata fan di Alicia, nell'ultimo episodio ho empatizzato tantissimo con Diane e ho quasi goduto a vedere quello schiaffo finale. Ogni scelta fatta dal personaggio, ogni parola detta risulta lo specchio di quello che faremmo noi che stiamo guardando, come se fossero frutto della nostra soggettività, e così diventa impossibile guardare e parlare di The Good Wife in modo assolutamente oggettivo. Non solo i personaggi principali sono così ricchi di sfaccettature che sembra quasi di poterli toccare con mano, ma anche i personaggi secondari sono personaggi emblematici, forse un po' meno credibili ma allo stesso tempo ricchi di sfaccettature e con personalità precise: penso ad esempio a Louis Cunning, a Lemond Bishops, al Judge Abernathy e ad Elsbeth Tascioni, tutti personaggi che sebbene non fossero presenti in ogni episodio hanno saputo arricchire ancora la serie nella sua interezza, rendendo il contesto sempre meglio delineato e la storia ancora più credibile.

The Good Wife è stato capace di far passare attraverso i suoi personaggi una serie di storie e di idee che a mio avviso non potevano essere sviluppate meglio. Un legal drama fornisce agli autori un modo per parlare di questioni sociali ancora molto discusse, come la pena di morte, l'aborto, l'eutanasia, lo stupro: il problema è che quando si affrontano questi problemi è un attimo a cadere nei luoghi comuni e nei cliché. Robert e Michelle King sono riusciti a filtrare questi dilemmi attraverso gli occhi dei loro personaggi, restituendo allo spettatore un'opinione con un'eleganza fuori dal comune. È come se i King ci volessero dire "Toh, questo è il dilemma, e questa è la legge, questo è quello che ne pensa Diane, e questo è quello che prova chi ne è vittima, fanne quel che vuoi, ma riflettici". Non sono un'esperta di sceneggiatura, ma mi è sempre parso che gli episodi a tema dilemmi sociali fossero i migliori, quelli con i dialoghi più illuminanti e che lasciano allo spettatore un senso di angoscia e di impotenza di fronte all'incapacità di trovare una risposta che vada bene a tutti.

Una questione a parte merita il discorso del femminismo. Che The Good Wife sia una serie femminista, credo si capisca già dal pilot. Ma quello che è davvero femminista è il modo di affrontare alcune questioni senza che lo spettatore se ne accorga. Allo spettatore sembrerà quasi naturale che Diane Lockhart sia un socio nominale di uno dei migliori studi legali di Chicago, perché Diane Lockhart sa il fatto suo, è brava, per non dire una delle migliori, in quello che fa. Così come lo spettatore non si chiederà perché Alicia, pur essendo donna, riesca ad essere più spietata e badass ogni episodio che passa: perché le situazioni in cui si è trovata l'hanno portata a diventare così. Il femminismo di The Good Wife è, per usare un termine stra-abusato (mi perdoni Bauman), un femminismo liquido, che non ti parla in modo esplicito di uguaglianza tra uomo e donna: The Good Wife l'uguaglianza te la mostra, mai agendo per stereotipi o per luoghi comuni, sempre facendo passare tutto attraverso le storie dei personaggi. The Good Wife se ne frega degli stereotipi di genere, li calpesta e se li lascia alle spalle con classe, facendo quello che nessun altro (a mia memoria) è stato in grado di fare: perpetua il femminismo facendolo passare per una cosa naturale, mai messo in dubbio, mai discusso. Alicia, alla fine della serie, cammina da sola dopo aver perso Jason, Diane e anche Peter: è una donna indipendente e che ha imparato a soffrire, a fatica si rialzerà di nuovo (il mettersi a posto i capelli, accarezzarsi un po' la guancia dolorante, sistemare la giacca e girarsi un po' traballante sui tacchi è davvero un'immagine bellissima e credo sia il sunto di tutta la serie) e camminerà, da sola, perché Alicia è diventata una donna indipendente.
Ma d'altro canto The Good Wife è stronzo dentro e ti mette davanti anche a un'altra realtà: quella della folla che ancora ha bisogno di aggrapparsi a questi stereotipi, perché in un certo senso ci forniscono certezze. Alicia, come le viene costantemente richiesto in tutte le stagioni, nonostante abbia ormai chiuso con Peter, rimane sempre al suo fianco "per immagine". Lei non ama Peter, ma non si tira indietro quando deve stare al suo fianco per la campagna elettorale o per far vedere che lei è una brava moglie. Emblematico a questo proposito è il dialogo tra Ruth ed Eli, quando quest'ultimo spiega che Peter non ha avuto successo al Caucus di Iowa perché Alicia non è stata valorizzata a dovere: gli elettori devono vedere Saint Alicia e come Saint Alicia stia sempre al fianco del marito, perché l'immagine della buona moglie è un'euristica ancora troppo forte a cui tanta gente si appiglia.
A mio avviso, anche in questo The Good Wife è stato capace di restituire un'immagine complessa e dettagliata del mondo in cui viviamo, senza mai assumere un'opinione come l'unica possibile ma riuscendo a scoprire tutte le carte in tavola e dire "ecco, questo è quello su cui dobbiamo riflettere".

Dal punto di vista strettamente psicologico ho apprezzato moltissimo la risoluzione del fattore Will: da quel drammatico episodio (che non a caso si intitolava Dramatics, Your Honor) in poi abbiamo un'Alicia che attraversa tutte le fasi del lutto. Gli episodi successivi a quello sono assolutamente perfetti e Mind's Eye è uno degli episodi che ho apprezzato di più in tutta la serie (e non solo per la colonna sonora): Alicia che si ferma un attimo dalla sua vita e riflette. Non c'è il nasone di Josh Charles, ma siamo stati tutti in grado di capire che quella controfigura fosse proprio Will Gardner. Non so se sia stato voluto o non voluto, sta di fatto che si dà davvero un'idea che Alicia non sia ancora riuscita a superare del tutto Will, che stia provando a dimenticarlo per evitare di soffrire. Ma, il vecchio zio Freud lo diceva, e dopo di lui tutta una serie di psicoanalisti e di psicologi, il lutto si supera solo con l'interiorizzazione della persona perduta. Nell'ultimo episodio compare di nuovo Will, ed è una proiezione della mente di Alicia: ha finalmente capito che dimenticare non è possibile, e che Will vive in lei, non solo in senso strettamente romantico (quell'I'll love you for ever è stato veramente un colpo al cuore e allo stesso tempo un sollievo), ma anche da un punto di vista personale. Non è tanto Will in sé, ma tutto quello che le ha lasciato: la capacità di gestire casi professionali difficili, la capacità di pensare alla vita con gli occhi dell'uomo che ha sempre amato e di analizzare le situazioni anche da un punto di vista diverso dal proprio, ma soprattutto la consapevolezza che non troverà mai nessuno come Will (e forse è anche per questo che alla fine lascia andare Jason senza lottare più di tanto ma girando le spalle e tornando sui propri passi).

Il finale mi sembra una chiusura non perfetta del cerchio: non so se questo sia voluto, ma io l'ho apprezzato. Per esempio, mentre le situazioni di Cary e Jason ci risultano abbastanza chiare, non sappiamo come andrà avanti la storia di Lucca, o di Alicia e di Diane: il colpo basso di Alicia avrà messo in pericolo lo studio di sole donne che erano riuscite a costruire? Di colpi bassi ce ne sono stati e tutti, bene o male, si sono risolti, e credo che questo non possa e non debba essere il definitivo. A caldo è normale che Diane si sia comportata così, ma non ci è dato sapere come andranno avanti le cose. Non sappiamo come verrà gestita dai media e dal pubblico la fuga di Alicia dalle telecamere dopo che Peter ha annunciato la fine della carriera.
Con cerchio non perfetto intendo dire che sì, la prima scena del pilot e l'ultima scena dell'ultimo episodio coincidono, ma nonostante la ripetizione di immagini come lo schiaffo, tutto quello che è stato costruito in questi sette anni non può ridursi a questo "re-beginning". Ho apprezzato questo finale un po' in bilico perché in un certo senso restituisce a noi spettatori tutto quello che The Good Wife ha sempre messo in scena: una storia di persone ordinarie che vivono situazioni ordinarie e si comportano come esseri umani. Nemmeno la morte riesce a fermare la vita (Will Gardner, sto parlando di te), come può un finale di serie mettere fine alle vicende di Alicia Florrick?

No comments:

Post a Comment